domenica 12 dicembre 2010

TAIJI QUAN e LAVORO SU DI SE’

Seguo Paolo nel suo Taiji quanLa perla della vera sintesi” per trovare chiavi e indicazioni nella ricostruzione di me, nel dialogo con il mio corpo che sviluppo da qualche anno ormai nella cura di me stessa, a seguito di un grosso politrauma.

E' come rientrare in un abito inamidato o congelato e scioglierlo dall’interno, impiegando i principi del taiji, contattando le parti di me, portando lì l’attenzione - yi -, provando a muoverle attraverso contrazioni isometriche e a “impastarle” nello shi li.

Non so cosa si veda dall’esterno, ma dall’interno le sensazioni talvolta sono intense, perfino commoventi.

Naturalmente non sono tutte rose e fiori, ci sono fasi cicliche, ottave ascendenti e discendenti che ho imparato a riconoscere, momenti in cui la fatica e il fastidio per un abito molto stretto e il dolore anche, aumentano la tentazione di interventi invasivi. Il lavoro fisico ed energetico si mescola a un lavoro di osservazione di sè, di monitoraggio delle proprie emozioni, dei propri stati d'animo, di non identificazione con gli "alti" e i "bassi" che questi passaggi comportano.
Via Via lo sguardo si amplia e riesco a dare prospettiva ai singoli momenti, senza rimanere completamente schiacciata nelle emozioni date dalla fase in cui mi trovo.
Francamente ancora oggi, per me che intendo la vita come un grande laboratorio, se scegliessi una risoluzione più rapida ed esterna - per quanto più consueta e "sicura" - nella cura di me, mi sembrerebbe di gettar via l’opportunità di una riscrittura dall’interno delle possibilità del corpo.
Questa ricerca volta all'autoguarigione, questa scelta, penso risponda maggiormente alle domande di armonia e di efficacia che non trovano riscontro in altri tipi di interventi più invasivi.

Quando pratico il qi gong e accumulo energia insieme a quest’attenzione presente rivolta alle varie parti di me nutro un sentimento: l'abbandono fiducioso all’intelligenza del mio corpo, quella che non ha a che fare con me (fortunatamente) ma che vibra in risonanza con l’universo.


Mi piace nel ritzu zen applicare le posture che richiamano i cinque movimenti, o le cinque fasi (legno fuoco terra metallo acqua) trovando in questo una corrispondenza tra me (il mio corpo fisico, energetico ed emotivo) il paesaggio naturale in cui vivo, il qi gong e il feng shui che pratico nella mia professione.

2 commenti:

  1. Bella l'immagine dell'abito inamidato.
    E' così, quando si incomincia a sentire il proprio corpo quasi per la prima volta, in maniera così distante dal costringere il proprio corpo a fare sport.

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  2. Si qui pero' il grosso del lavoro e' emotivo su un corpo perduto, in parte ritrovato, in parte modificato, e' un lavoro sul piano indentitario, sull'immagine e la conoscenza di se', solo dopo aver sciolto questo prima scorza emotiva inizia il vero lavoro, fatto di ascolto privo di giudizio, di paziente ricerca, di innamoramento di se' e della forza vitale che si avverte nella pratica, un racconto inesauribile e sempre nuovo, intessuto con quel microcosmo infinito che siamo!

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