mercoledì 29 gennaio 2014

CRITERIO PRATICO PER VERIFICARE DOVE SI TROVA POLARIZZATA LA CONSAPEVOLEZZA.



Se consideriamo il lavoro del centro mentale dal punto di vista dell'attenzione, sapremo subito in quale parte del centro ci troviamo. Senza attenzione o con un'attenzione vagabonda, ci troviamo nella parte meccanica; con un'attenzione attirata e trattenuta dal soggetto dell'osservazione o della riflessione, ci troviamo nella parte emozionale; con l'attenzione controllata e mantenuta sul soggetto dalla volontà, siamo nella parte intellettuale.

martedì 28 gennaio 2014

ALCUNE INTEGRAZIONI RIGUARDANTI LA STRUTTURA E IL FUNZIONAMENTO DEL CENTRO MENTALE, UTILI A TUTTI COLORO CHE HANNO FREQUENTATO LO SCORSO SEMINARIO.



La parte meccanica lavora quasi automaticamente, non esige alcuna attenzione; ma proprio per questo non è in grado di adattarsi ai cambiamenti delle circostanze, non può "pensare", continua quindi a lavorare come ha cominciato, anche quando le circostanze sono completamente cambiate.

La parte emozionale del centro mentale consiste specialmente di ciò che si chiama emozione intellettuale, cioè desiderio di conoscere, desiderio di comprendere, la soddisfazione di sapere, la insoddisfazione di non sapere, il piacere di scoprire e così via, benché tutte queste emozioni possano anch'esse manifestarsi a livelli diversissimi.

Il lavoro della parte emozionale esige attenzione, ma in questa parte del centro l'attenzione non richiede alcuno sforzo. Viene attirata e trattenuta dal soggetto stesso, il più delle volte da una identificazione, che abitualmente viene chiamata "interesse" o "entusiasmo" o "passione", oppure "devozione".
La parte intellettuale del centro mentale contiene in sé la facoltà di creare, di costruire, di inventare, di scoprire. Essa non può lavorare senza attenzione, ma l'attenzione in questa parte del centro deve essere controllata e mantenuta dalla volontà e dallo sforzo.

venerdì 24 gennaio 2014

A proposito del 5° specchio, un giovane ricercatore mi scrive


Stare molto tempo vicino ad altre persone rende più semplice l’emergere dei loro lati che entrano in conflitto con le molteplici parti, o io, della mia essenza. E mi son accorto che una persona in particolare muove molte personalità dentro di me, non dissimili da quelle che mi tira fuori mia madre, con la quale ho un rapporto a dir poco anormale. Questa persona è Raffaella. Lei è in conflitto con quella parte di me infantile, e probabilmente le linko anche qualcosa che ha perduto, e si esprime con me con quel suo linguaggio puntiglioso, scrupoloso e competitivo non dissimile da mia madre. Io dall’altra parte, mi ritrovo a subire ciò che ho subito nel corso della mia vita, e soprattutto durante l’adolescenza, subito dopo la separazione dei miei genitori, quindi quando mia madre si è trovata da sola ad educare un figlio. Incapace, oberata dalle sue paure, ansie e anche manie, ad affrontare l’educazione dei figli da sola, con un marito che si gettava inconsciamente nell’alcool e ne risentivamo soprattutto io e mio fratello, ha imparato ad agire in maniera fredda e priva apparentemente di affetto. Non dico che l’affetto non c’è in mia madre, è solo che tutto quell’energia di attaccamento (secondo me anche maniacale verso me), è stata filtrata pesantemente dal suo stato emotivo in perenne ansietà. Tutto ciò che ho subito sul piano emozionale da mia madre è stata infatti un’enorme carica di preoccupazioni e ansie. Mi ha trasmesso ciò che provava dentro e paradossalmente non avrebbe voluto per me.
Il rapporto con Raffaella che dunque mi linka la rumenta passata con mia madre, non può che essere ricco dal punto di vista dell’evoluzione individuale, e può essere fondamento per un eventuale sblocco relazionale con mia madre. Tutto ovviamente dipende da come mi muovo principalmente io, non da come si approcci lei, penso di avere diverso tempo a disposizione prima che lei cambi di atteggiamento nei miei confronti. Mi aiuterebbe sul piano dell’inconscio a comprendere meglio la situazione materna, perché sul piano della cognizione capisco(non comprendo) perfettamente il comportamento di mia madre. E riuscirei oltretutto a gestire meglio i meccanismi che ho con lei.

Per questo sento di dover ringraziare fortemente Raffaella per darmi questa opportunità di evoluzione interiore.Passando al piano vero e proprio della relazione con Raffaella cioè i meccanismi che scattano dentro, accade che alla rumenta che getta su di me, scaturita anche dalla più insignificante cosa, come il non aver acceso la stufa, oppure non aver badato a togliermi le scarpe prima di entrare in bagno, oppure il fatto che a volte mi fa presente che mi ritiene sul piano comportamentale un cafone, io non rispondo sguinzagliando l’animale, anzi la invito a farmi altri esempi di ciò che non va nel mio agire così che non accadano più errori. E’ una tattica che ho imparato da mia madre: così facendo Raffaella scarica la rabbia su di me e io sono capace di comprendere il senso della sua rabbia e non controbattere. Penso durante la “aggressione” che in realtà si tratta non di uno scarico nei miei confronti, bensì di uno scarico destinato ad una parte di lei, di Raffaella stessa. Una volta che si è scaricata, lei si sente bene, io invece in qualche modo la merda che mi ha tirato la sento. Mi trattengo dentro una serie di sensazioni spiacevoli, tra cui un sentimento di sottomissione e di incapacità di agire bene, e di non essere sempre in coscienza di ciò che faccio. Come se mi distraessi da ciò che veramente dovrei fare. In effetti potrei dire che Raffaella come mia madre, ha quasi una capacità di mettermi nelle condizioni di verificare se sto facendo bene, con il suo modo di seguire sempre puntigliosamente quello che faccio.
La domanda che mi pongo è però questa: è giusto continuare ad “evitare i colpi” assorbendo e comprendendo con la tattica sopracitata oppure dovrei sguinzagliare l’animale per analizzare bene cosa accade se lo faccio? So anche che a lungo andare non riuscirei a controllarmi e comunque l’animale prima o poi uscirebbe…