mercoledì 9 marzo 2011

racconto di un momento vissuto, nel crogiolo

Cerco di sviluppare l’impiego congiunto dei principi, il gesto asciutto deciso e lineare della spada, la morbidezza rotonda del taiji che tutto accoglie.

Sono risoluta nella mia vita “ordinaria”, professionale, famigliare, personale, sono abituata ad assumermi la responsabilità della mia esistenza, ma il lavoro su di sé è una faccenda di tutt’altro ordine!

Vorrei riuscire a mantenere la fermezza della spada nel perseguire gli obiettivi di lavoro su di me, per mantenere fermo il timone trovandomi su una barca che prende il largo nel mare agitato delle emozioni, mosso dallo spavento che trattiene nella scoperta del nuovo.
Sento l’agitarsi del corpo emotivo - eco dell’originaria paura della separazione, della nascita al mondo - ogni volta che alzo il tiro e provo a lasciare andare un altro aspetto della mia personalità, ogni volta che provo a uscire dalla diga foranea della presenza degli affetti e mi spingo in mare aperto, lontano dalle rive sicure.

Per mantenermi ferma nelle decisioni, a fronte delle parti della personalità che puntano i piedi, spesso mi trovo maldestramente a esprimermi nello scontro, non sono ancora capace di perseguire l’obiettivo (impiegando i principi della spada) attraverso un procedere più morbido e rotondo che tutto accoglie (come nel taiji).

E’ un traguardo che, quando non è frutto di ostentazioni fittizie, presuppone l’osservazione e la consapevolezza di ogni gesto, un corpo emotivo realmente addomesticato, con la possibilità di accogliere le asperità e i bisogni degli altri, delle persone che ci sono più vicine, senza avere l’impressione di venirne in qualche modo costretti e fagocitati, senza giudizio.

E’ la stessa morbidezza che cerco di applicare nell’osservazione di me stessa, delle parti che considero ingombranti.
Modificarsi nell’accettazione e nell’accoglienza di come si è non è banale. Mi pare molto più facile accogliere, accettare e integrare gli esiti del politrauma sul corpo fisico che altre e più lontane cicatrici: i moduli di comportamento imposti dai bisogni del corpo emotivo.
I condizionamenti sociali e culturali in questo campo sono ancora maggiori se si è donna. Rinnovo continuamente la scelta di seguire la spinta profonda all’esplorazione dell’ignoto per la comprensione del “grande meccanismo” nello spazio della mia vita, con gli strumenti di cui dispongo.

L’osservazione di sè, delle sensazioni, delle percezioni, delle emozioni, dei sentimenti, il lavoro sulle possibilità e i limiti del corpo fisico, lo sviluppo del corpo energetico, l’osservazione dei pensieri limitanti, le esperienze vissute, tutto ciò richiede l’esercizio di una irriducibile volontà. Il susseguirsi di esperienze nel loro schema ripetitive porta a rendersi conto che l’unico modo per arrivare a non ripetere i moduli di comportamento condizionati è essere presenti a se stessi, continuamente consapevoli.

Le emozioni che si vivono in questi passaggi sono come il fuoco nel processo di realizzazione dei metalli a partire dalla pietra grezza, è lo stato di ebollizione che permette la separazione degli elementi, la dissolvenza delle scorie, delle impurità, delle amalgame, per comporre una configurazione rinnovata, verso un nuovo ciclo, in preparazione del prossimo passaggio, attraverso questo crogiolo del solve et coagula.

Quando in questi giorni colgo i sintomi dell’ansia (che se guardiamo bene è la paura della separazione, della solitudine, dell’ignoto) mi soffermo sulla nota citazione che mi suggerisce un antico compagno di ricerca: non domandarmi dove porta la strada, seguila e cammina soltanto.

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