sabato 22 febbraio 2014

Condivisione notturna di uno strato di cipolla con la sua stella polare


Ogni cambio di muta mi porta sempre più vicina al cuore, come le cipolle, di strato in strato lascio alle mie spalle tutto ciò che per me aveva un peso ed era aggrovigliato al mio emotivo.
Li sento arrancare, infastiditi dal mio sfuggergli tra le dita, come un torrente di montagna, un'anguilla di acqua dolce che incessabilmente si dirige verso il mare.
I miei moduli, i miei attaccamenti, i finti appigli ai quali rivolgermi nel momento del bisogno.
Sempre presenti, sempre più fievoli, mi reclamano.
Ma dopo ogni ripetizione io sono sempre più lontana ... a volte guardo indietro e non mi riconosco ... a volte questo mi provoca malinconia e desolazione ... la volta dopo, certa determinazione nel seguire il mio cammino.
E poi ci sono quelle pietre miliari nella mia vita, che sembrano montagne che non si abbassano mai, solchi profondi eternità incolmabili.
Ma io so che il mio scorrere lì erode e qui crea.
Pazienza. Inspiro. Espiro. E tanta compassione.
Per me, che non mi basto mai.

Buona notte stella polare.

lunedì 10 febbraio 2014

Gli stati emotivi negativi sono una scelta. Niente è oggettivo.

Ciao Paolo,
ieri, in risposta ad una mia domanda, è emerso un tema che mi sembra possa essere utile condividere.
Io ti ho detto che trovavo molto faticoso uno dei lavori emotivi che sto effettuando in questo momento, ovvero il distacco da una persona che era diventata oggetto di "tossicità" e non più strumento di crescita.
Io non avevo dubbi o tentennamenti sulla correttezza della mia scelta di distacco, ma pensavo di poter essere compresa sul percepire questo lavoro come faticoso.
Tu mi hai fatto capire che non esiste niente di oggettivamente faticoso, se io lo percepisco faticoso è perchè l'io che in questo momento archivia questa esperienza la sta archiviando nel modo sbagliato, ovvero tipo "in realtà questa cosa è una forzatura, non capisco come mai devo farla etc etc".
Se invece io faccio fare da archivista all'io che ha deciso la svolta, lui la archivia così "stai facendo una figata pazzesca perchè rischiavi di infilarti in una situazione vischiosa e limitante, stai vincendo una tua debolezza ed un tuo attaccamento, proprio come in un digiuno".
Ci è voluto un attimo per farmi cambiare l'io che archiviava, anche perchè questa esperienza è stata in gran parte archiviata così, solo raramente mi capitano momenti di "debolezza" che io confondevo con "stanchezza e fatica oggettiva".
E soprattutto ho capito che gli stati emotivi bassi SONO SEMPRE UNA SCELTA.
Questo mi è piaciuto moltissimo perchè è come avere veramente in mano il potere sulla propria vita, senza cadere nelle solite scuse rivolte all'esterno che non va bene.
Come mi hai detto tu, sarebbe buona norma ripetersi questo nei momenti di emotivo alto, quando riusciamo, così quando l'emotivo è basso e rischiamo di cadere nell'identificazione avremo una massa critica che ci permetterà di fare switch.
Grazie.

martedì 4 febbraio 2014

LA VIA PER LA CRESCITA INTERIORE INCONTRA NODI IL CUI SUPERAMENTO CI IMPEGNA IN PROFONDITA' CONSUMANDOCI MOLTE RISORSE.

Ciao Paolo,
dunque, un aggiornamento. è un momento molto faticoso. mi trovo a lottare giornalmente con stati di depressione o scoramento, cosa che non è usuale per me. cerco di non farli "entrare", di non lasciare spazio, con successo, direi, ma appunto tutto questo mi consuma energia. impegnarmi nei progetti e nel lavoro quotidiano mi sembra l'antidoto migliore a queste emozioni.
Mi sento ad un punto cruciale. ho visto di quale merda sono fatte alcune parti, e ho visto a cosa portano. non voglio assolutamente quel tipo di risultati, non voglio fare del male, né agli altri né a me stesso. voglio essere aperto, visibile, non voglio potere su qualcuno ma voglio il controllo su di me.
Forse a questo punto mi manca una strategia precisa, ma questa voglio concordarla con te o che sia tu a definirla, visto che la mia visione non è chiara.
Unica cosa che riesco a fare è fare un parallelo col lavoro esterno, quindi mettere massima attenzione a tutto, ai dettagli, fino al più piccolo, affrontare di petto quegli aspetti del lavoro che sento "naturalmente" di sfuggire. osservo comunque che faccio fatica ad alzarmi la mattina, mi sento proprio stanco, e anche la compulsione sul cibo rispetto all'aspecifico ha dei momenti in cui si fa proprio difficile, tipo per una settimana mi spinge fortemente, quella dopo invece non è così sensibile.

mercoledì 29 gennaio 2014

CRITERIO PRATICO PER VERIFICARE DOVE SI TROVA POLARIZZATA LA CONSAPEVOLEZZA.



Se consideriamo il lavoro del centro mentale dal punto di vista dell'attenzione, sapremo subito in quale parte del centro ci troviamo. Senza attenzione o con un'attenzione vagabonda, ci troviamo nella parte meccanica; con un'attenzione attirata e trattenuta dal soggetto dell'osservazione o della riflessione, ci troviamo nella parte emozionale; con l'attenzione controllata e mantenuta sul soggetto dalla volontà, siamo nella parte intellettuale.

martedì 28 gennaio 2014

ALCUNE INTEGRAZIONI RIGUARDANTI LA STRUTTURA E IL FUNZIONAMENTO DEL CENTRO MENTALE, UTILI A TUTTI COLORO CHE HANNO FREQUENTATO LO SCORSO SEMINARIO.



La parte meccanica lavora quasi automaticamente, non esige alcuna attenzione; ma proprio per questo non è in grado di adattarsi ai cambiamenti delle circostanze, non può "pensare", continua quindi a lavorare come ha cominciato, anche quando le circostanze sono completamente cambiate.

La parte emozionale del centro mentale consiste specialmente di ciò che si chiama emozione intellettuale, cioè desiderio di conoscere, desiderio di comprendere, la soddisfazione di sapere, la insoddisfazione di non sapere, il piacere di scoprire e così via, benché tutte queste emozioni possano anch'esse manifestarsi a livelli diversissimi.

Il lavoro della parte emozionale esige attenzione, ma in questa parte del centro l'attenzione non richiede alcuno sforzo. Viene attirata e trattenuta dal soggetto stesso, il più delle volte da una identificazione, che abitualmente viene chiamata "interesse" o "entusiasmo" o "passione", oppure "devozione".
La parte intellettuale del centro mentale contiene in sé la facoltà di creare, di costruire, di inventare, di scoprire. Essa non può lavorare senza attenzione, ma l'attenzione in questa parte del centro deve essere controllata e mantenuta dalla volontà e dallo sforzo.

venerdì 24 gennaio 2014

A proposito del 5° specchio, un giovane ricercatore mi scrive


Stare molto tempo vicino ad altre persone rende più semplice l’emergere dei loro lati che entrano in conflitto con le molteplici parti, o io, della mia essenza. E mi son accorto che una persona in particolare muove molte personalità dentro di me, non dissimili da quelle che mi tira fuori mia madre, con la quale ho un rapporto a dir poco anormale. Questa persona è Raffaella. Lei è in conflitto con quella parte di me infantile, e probabilmente le linko anche qualcosa che ha perduto, e si esprime con me con quel suo linguaggio puntiglioso, scrupoloso e competitivo non dissimile da mia madre. Io dall’altra parte, mi ritrovo a subire ciò che ho subito nel corso della mia vita, e soprattutto durante l’adolescenza, subito dopo la separazione dei miei genitori, quindi quando mia madre si è trovata da sola ad educare un figlio. Incapace, oberata dalle sue paure, ansie e anche manie, ad affrontare l’educazione dei figli da sola, con un marito che si gettava inconsciamente nell’alcool e ne risentivamo soprattutto io e mio fratello, ha imparato ad agire in maniera fredda e priva apparentemente di affetto. Non dico che l’affetto non c’è in mia madre, è solo che tutto quell’energia di attaccamento (secondo me anche maniacale verso me), è stata filtrata pesantemente dal suo stato emotivo in perenne ansietà. Tutto ciò che ho subito sul piano emozionale da mia madre è stata infatti un’enorme carica di preoccupazioni e ansie. Mi ha trasmesso ciò che provava dentro e paradossalmente non avrebbe voluto per me.
Il rapporto con Raffaella che dunque mi linka la rumenta passata con mia madre, non può che essere ricco dal punto di vista dell’evoluzione individuale, e può essere fondamento per un eventuale sblocco relazionale con mia madre. Tutto ovviamente dipende da come mi muovo principalmente io, non da come si approcci lei, penso di avere diverso tempo a disposizione prima che lei cambi di atteggiamento nei miei confronti. Mi aiuterebbe sul piano dell’inconscio a comprendere meglio la situazione materna, perché sul piano della cognizione capisco(non comprendo) perfettamente il comportamento di mia madre. E riuscirei oltretutto a gestire meglio i meccanismi che ho con lei.

Per questo sento di dover ringraziare fortemente Raffaella per darmi questa opportunità di evoluzione interiore.Passando al piano vero e proprio della relazione con Raffaella cioè i meccanismi che scattano dentro, accade che alla rumenta che getta su di me, scaturita anche dalla più insignificante cosa, come il non aver acceso la stufa, oppure non aver badato a togliermi le scarpe prima di entrare in bagno, oppure il fatto che a volte mi fa presente che mi ritiene sul piano comportamentale un cafone, io non rispondo sguinzagliando l’animale, anzi la invito a farmi altri esempi di ciò che non va nel mio agire così che non accadano più errori. E’ una tattica che ho imparato da mia madre: così facendo Raffaella scarica la rabbia su di me e io sono capace di comprendere il senso della sua rabbia e non controbattere. Penso durante la “aggressione” che in realtà si tratta non di uno scarico nei miei confronti, bensì di uno scarico destinato ad una parte di lei, di Raffaella stessa. Una volta che si è scaricata, lei si sente bene, io invece in qualche modo la merda che mi ha tirato la sento. Mi trattengo dentro una serie di sensazioni spiacevoli, tra cui un sentimento di sottomissione e di incapacità di agire bene, e di non essere sempre in coscienza di ciò che faccio. Come se mi distraessi da ciò che veramente dovrei fare. In effetti potrei dire che Raffaella come mia madre, ha quasi una capacità di mettermi nelle condizioni di verificare se sto facendo bene, con il suo modo di seguire sempre puntigliosamente quello che faccio.
La domanda che mi pongo è però questa: è giusto continuare ad “evitare i colpi” assorbendo e comprendendo con la tattica sopracitata oppure dovrei sguinzagliare l’animale per analizzare bene cosa accade se lo faccio? So anche che a lungo andare non riuscirei a controllarmi e comunque l’animale prima o poi uscirebbe…





martedì 31 dicembre 2013

CONSAPEVOLEZZA PROLUNGATA

Uno dei limiti che si presentano all’azione del ricercatore è la caduta della consapevolezza di fronte alla sofferenza. Quando la mente ci suggerisce di fuggire (es.negli automatismi) resistere ci fa sembrare l’agonia assolutamente insopportabile; i pensieri distruttivi e minacciosi occupano tutto il campo. Eppure resistere, stare nella situazione consapevolmente (ormai sappiamo cosa significa), permette a qualcosa di incredibile di accadere: di colpo osserviamo la dissoluzione del dolore e dei pensieri intorno ad esso, invece di desiderare che il dolore cessi ci si ritrova tranquilli ad osservare affascinati le sue componenti. Stare in contatto con il dolore, con il piacere, o con l’indifferenza, finché questi stati mentali cambiano, ci consente di intuire che ogni esperienza non è permanente, qualunque essa sia.
L’intuizione che tutto si trasforma ci aiuta a liberarci dai richiami del piacere e dall’avversione al dolore. Ogni volta che osserviamo il momento di intenzione che precede la nostra azione, abbiamo la possibilità di penetrare nella catena di causa ed effetto che è all’origine di tutte le abitudini mentali.
Con un’emozione come la rabbia, sostenere l’attenzione può portarci a un’altra intuizione cruciale: se riusciamo a stare in contatto con la rabbia abbastanza a lungo, la vedremo trasformarsi in qualcos’altro, come il dolore, la tristezza, o qualche altra sensazione, o addirittura sparire. Ciò che ci era sembrato così solido si sgretola e si trasforma. La chiave di tutto questo sta nella capacità di rimanere in contatto con l’esperienza in tutti i suoi cambiamenti.